Ingegnere dell’Informazione: per quanti è chiara questa definizione?

da Il Giornale dell’Ingegnere

di Massimo Trojani

Finalmente l’ISTAT ne ha ratificato la definizione e ne ha chiarito il ruolo

Dopo oltre vent’anni dalla “Bolla delle Dotcom”, quando, finita la fase dei computer da “cantina”, i mercati finanziari traguardavano enormi sviluppi per la “società dell’informazione”, forse è giunto il momento di farsi un’iniezione di realtà e iniziare a mettere delle solide e concrete basi a quella società post industriale, dove l’informazione – un bene immateriale – assume rilevanza e prevalenza rispetto ai beni industriali.
Il mercato, decisamente immaturo in questi ultimi 20 anni, ha cercato di reagire alle chimere e illusioni poco scientifiche di improbabili “guru dell’informatica”, cercando di pescare “pozioni miracolose” solo cambiando i titoli: si è passati quindi dalle semplici “Tecnologie dell’informazione” a una visione che integrasse anche le telecomunicazioni (in sigla: ICT o TIC) e inventando sempre nuovi “mantra” (Smart City, Internet of Things, etc.), e nuove pseudo-professioni (Digital Champions, Abilitatori digitali, etc.), fino ad approdare alla “transizione al digitale”: un paradigma tanto evocativo e ancora illusorio, ma che, perlomeno, sottintende la necessità di definire dei processi, ovvero una “pianificazione” e un “pragmatismo” progettuale.
La pianificazione è parte dell’informatica “applicata”, intendendo con questo il facere ovvero le capacità e le competenze per modificare realtà preesistenti tramite l’informatica. È altresì indubbio che ancora non è stato dato il corretto valore al percorso formativo universitario che porta a conseguire la qualifica di Ingegnere dell’informazione. Si è ritenuto che chiunque, proveniente da diversi percorsi di studi, con qualche corso di decine di ore o lavorando nel settore dell’informatica, potesse acquisire le capacità e le competenze necessarie a progettare e dirigere la realizzazione e la gestione dei sistemi informativi complessi.
Senza una consolidata base culturale e anni di studio nessuno può diventare un chirurgo, allo stesso modo chi non ha seguito un percorso di studi complesso e completo non potrà progettare dei Sistemi Informativi complessi, efficienti e sicuri, dove il software, l’hardware, le persone e i processi possono interagire efficacemente per produrre una serie di informazioni di valore. Da oltre vent’anni il comma 1 lett. c) dell’art. 46 del D.P.R. 328/2001, attribuisce all’ingegnere dell’informazione l’attività professionale di “pianificazione, progettazione, sviluppo, direzione lavori, stima, collaudo e gestione di impianti e sistemi elettronici, di automazione e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle informazioni”.
Tale legge, scaturita da un’importante riforma delle professioni tecniche, è stata spesso trascurata forse per mera “distrazione” o “superficialità” nel considerare gli Ordini professionali come un “mondo a parte”, una “lobby” che potrebbe ostacolare il libero mercato e quindi lo sviluppo. La distrazione, a volte, può sfociare in superficialità che riscontriamo, per esempio, al punto 5.1.2 della relazione AIR sulle Linee guida per l’affidamento dei servizi di ingegneria prodotta dall’ANAC dove si dà per scontato che i “servizi di ingegneria” si riferiscano a ogni ipotesi di affidamento dei servizi di pianificazione, progettazione, direzione lavori, collaudo
etc., a prescindere dall’oggetto dei medesimi. Nella realtà, invece, tra i servizi di ingegneria, raramente vengono ricompresi quelli che la legge attribuisce all’Ingegnere dell’Informazione.

MA QUANTI CONOSCEVANO L’ESISTENZA DELL’INGEGNERE DELL’INFORMAZIONE?
Quanti avevano contezza che, in questi vent’anni di mancato sviluppo della società dell’informazione ci si è dimenticati di questa importante figura professionale? E se tutto questo è vero, perché un laureato in ingegneria elettronica, informatica o altra laurea tecnica abilitante avrebbe dovuto sostenere e superare un Esame di Stato per conseguire un titolo scarsamente riconosciuto dal mondo del lavoro?
Bisognava interrompere questo evidente “circolo vizioso”, pretendendo di avere riconosciuta, non una “privativa” ex lege (hard-law) che, se pur ampiamente legittima, sarebbe stata difficile da ottenere, ma almeno una corretta collocazione nella Classificazione CP2011, che ISTAT codifica per “rappresentare il mercato del lavoro, quanto più fedelmente possibile, per produrre statistiche di qualità”. Le codifiche ISTAT, per una prassi ormai consolidata, sono infatti un concreto riferimento sia in ambito privato sia pubblico e quindi si identificano come una soft-law: essere presenti o meno in tale classifica significa essere presenti
e riconosciuti nella società e nel mercato del lavoro.
In particolare, poiché la Classificazione ISTAT CP2011 viene correntemente adottata dall’INAPP, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, la professione di “Ingegnere dell’informazione” non esisteva nel sistema informativo sulle professioni.

Almeno fino a oggi.

Nel mondo del lavoro, chiunque abbia avuto bisogno di usare il sistema INAPP, si è rivolto per i servizi di sviluppo della “società dell’informazione” – e dei relativi beni e servizi immateriali – alle altre professioni codificate nella CP2011, dove si possono trovare: “specialisti nella commercializzazione nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,” i ricercatori e docenti universitari in scienze matematiche e dell’informazione nonché nelle scienze ingegneristiche industriali e dell’informazione.
Nonostante tale anomalia fosse stata segnalata più volte dagli iscritti degli Ordini Territoriali, grazie anche all’impegno del C3i, Comitato Italiano dell’Ingegneria dell’Informazione (C3i), è stato possibile intervenire con maggior incisività presso l’ISTAT che, come da Circolare del CNI n. 833/2021 ha accolto l’istanza di inserire la professione di “ingegnere dell’informazione” nelle classificazione ISTAT CP2011. La descrizione della categoria “2.2.1.4” finora definita come “Ingegneri elettronici e in telecomunicazioni”, è stata aggiornata con “Ingegneri dell’informazione” a cui è associata, in coerenza con quanto previsto dal D.P.R. 328, la seguente definizione dettagliata:
“Le professioni classificate in questa categoria conducono ricerche ovvero applicano le conoscenze esistenti e metodologie avanzate, innovative o sperimentali in materia di elettronica, di proprietà elettroniche dei materiali e in materia di telecomunicazioni per disegnare, progettare, controllare funzionalmente sistemi, apparati, circuiti e componenti elettronici, di automazione e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle
informazioni, per usi commerciali, industriali o scientifici. Conducono ricerche, progettano e testano le componenti hardware di calcolatori, reti e periferiche di calcolatori ovvero di apparati e sistemi di telecomunicazioni, sistemi informativi, infrastrutture informatiche, sistemi automatici di controllo movimentazione. Sovrintendono e dirigono tali attività”.
Tale categoria viene poi ulteriormente dettagliata, al quinto livello, nelle seguenti Unità Professionali (UP):
• 2.2.1.4.1 Ingegneri elettronici;
• 2.2.1.4.2 Ingegneri progettisti di hardware;
• 2.2.1.4.3 Ingegneri in telecomunicazioni;
• 2.2.1.4.4 Ingegneri dell’automazione industriale.
In particolare, l’UP 2.2.1.4.4 – Ingegneri dell’automazione industriale, viene definita con questo dettaglio: “Le professioni comprese in questa unità applicano le conoscenze e competenze esistenti in materia di automazione industriale, di sistemi a controllo numerico, informatica e telecomunicazioni per disegnare, progettare, dirigere la realizzazione, controllare funzionalmente, periziare sistemi produttivi, interconnessi, integrati, usando le tecnologie definite abilitanti del piano Industria 4.0 dell’UE.
In questo ambito è richiesta la conoscenza di protocolli industriali di comunicazione internazionalmente riconosciuti”, prevedendo due ulteriori declinazioni:
• 2.2.1.4.4.1 Ingegneri dell’automazione industriale;
• 2.2.1.4.4.2 Ingegneri dell’automazione industriale specializzati nella gestione dell’innovazione.
In attesa che tale rettifica venga resa operativa e quindi adottata da tutte le istituzioni interessate, a partire dall’INAPP, riteniamo che questo importante traguardo possa diventare un volano dell’innovazione, soprattutto nell’ambito delle opere pubbliche dove – vale la pena ricordarlo – nell’Allegato I del D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) ancora viene presa come riferimento la vecchia classifica “NACE Rev.1”, dove sono completamente ignorati gli impianti elettronici, intendendo questi ricompresi (con grande sforzo di fantasia) nella categoria 45.34: “L’installazione, in edifici o in altre opere di costruzione, di accessori e attrezzature non classificati altrove”.
Tale tipologia non ha e non può avere, per come è stata definita, una corrispondente classificazione CPV, in quanto gli impianti ICT sono pervasivi e trasversali, sia all’interno dell’intera divisione CPV 45, sia fuori della stessa (es.: software per infrastrutture critiche, telecontrolli, etc.).
Ora che finalmente l’ingegnere dell’informazione ha trovato una sua precisa collocazione nel mondo del lavoro, ci si aspetta che non venga più trascurato, ci si aspetta che non sia più possibile pensare a importanti opere pubbliche, come per esempio le smart city, trascurando che il termine smart indica la presenza di un “sistema informativo”, ovvero un complesso di beni e servizi immateriali, che occorre progettare affidandosi alla competenza e al valore deontologico aggiunto degli Ingegneri dell’informazione, iscritti e abilitati all’esercizio professionale.

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